"E poi l'Inghilterra – l'Inghilterra meridionale, probabilmente il paesaggio più curato del mondo. Quando lo si attraversa, soprattutto se, reduci dal mal di mare, si è tranquillamente sprofondati fra i morbidi cuscini del treno che dal porto va a Londra, riesce difficile credere che qualche cosa da qualche parte accada veramente. Terremoto in Giappone, catastrofi per fame in Cina, rivoluzioni in Messico? Nessuna preoccupazione, domattina il latte sarà come sempre davanti alla porta di casa e il «New Statesman» uscirà venerdì." da Omaggio alla Catalogna
Recensione di Paolo Amadio
Omaggio alla Catalogna è un testo che probabilmente non si sarebbe potuto scrivere in nessun altro secolo. L'approccio alla guerra civile spagnola del 1936-39 di questo scrittore inglese nato in India nella middle class è infatti esemplare, nel panorama culturale europeo, circa il rapporto tra l'intellettuale e la società che si sviluppò nel secolo scorso.
Ipotizzando un percorso che vede la nascita dell'intellettuale moderno come cortigiano rinascimentale, che attraversa l'epoca moderna facendosi sempre più guida della società, prima dei sovrani, poi con l'Illuminismo delle èlite, quindi con il pensiero dell'800 della borghesia, fino a comprendere nel '900 tutte le classi sociali, all'apice di questo percorso, che vede nello stesso "secolo breve" invertire la propria tendenza e progressivamente diminuire la sua capacità di incidere sulla realtà a vantaggio del sapere tecnico-scientifico, a sua volta asservito al mercato, al culmine di questa parabola, appunto, si colloca la vita e l'opera di Orwell. Pensiero e azione coincidono con ammirevole coerenza, superando le altrimenti inevitabili contraddizioni, nella scelta di andare a rischiare la vita (effettivamente messa a repentaglio da una pallottola che gli attraversò la gola) in nome di un ideale, quello anarchico.
In nome di diversi ideali, corrispondenti a diverse visioni della società, ma tutti avversi al fascismo e al nazismo, decine di migliaia di volontari, intellettuali, scrittori, militanti politici e semplici simpatizzanti della repubblica spagnola si unirono alla lotta contro il generale Franco, lasciando il lavoro, gli affetti, la sicurezza, insomma le loro vite per metterle a disposizione della causa, spesso fino all'estremo sacrificio della morte. Repubblicani, democratici, socialisti, anarchici, trozchisti e comunisti diedero vita ad uno slancio meraviglioso che per la prima volta si opponeva all'arroganza dei regimi totalitari (si tenga presente che si era appena conclusa la Guerra d'Etiopia col trionfo di Mussolini, mentre Hitler procedeva col riarmo). Orwell non fece in tempo a partecipare alla conclusione negativa di questo primo grande scontro, perché con la presa del potere della corrente comunista, appoggiata dall'Unione Sovietica, gli altri partiti ed i sindacati ad essi legati vennero sciolti e poi dichiarati fuori legge, contribuendo, in questo modo, alla vittoria di Franco, anche se questa scelta permise un contributo militare maggiore da parte della Russia. Al di là degli esiti, l'esperienza di Orwell, narrata in uno scritto autobiografico dove non si cela alcun rimorso e tanto meno rimpianto per il proprio contributo, rivela quella totale adesione ad un'idea, ad una classe sociale, alla vita, ma senza rinunciare alla propria individualità: era sposato e sua moglie era con lui in Spagna. Commovente è poi la fiducia nei confronti di quell'umanità che ha scelto di stare con il progresso, al di là delle varie correnti. Uno slancio che negli anni successivi verrà frenato ed in parte rivisto, dato che Orwell dedicherà le sue opere più famose alla denuncia dei limiti e delle aberrazioni apportate all'idea di rivoluzione dallo stalinismo. Ma che non intacca la sua fiducia nella possibilità di una società migliore, più giusta e più libera.
Sono trascorsi circa ottanta anni dallo stesura di Omaggio alla Catalogna, eppure sembrano dieci volte tanto. La distanza è immensa da ogni punto di vista. L'Europa non è più il centro del mondo, il nazifascismo è stato sconfitto dal comunismo che è stato vinto dal capitalismo, il quale a sua volta sta tramontando in favore di un sistema economico e sociale in cui tutti i vecchi rapporti tra i fattori economici si stanno modificando. Dal punto di vista della cultura e degli intellettuali, i mutamenti sono ancora più evidenti. Il produttore di cultura impegnato, ribelle e anticonformista è scomparso; al suo posto pallide imitazioni galleggiano come possono in nicchie sempre più ristrette del mercato. La battaglia per lo sradicamento all'interno della società è persa definitivamente: lo scrittore, il filosofo, hanno ben poco da dire, e anche se l'avessero nessuno gli riconosce più un ruolo di guida, un'autorità quanto meno morale.
Di questa mancanza di presa sulla realtà, di isolamento ed anche in fondo di svogliatezza, di spirito rinunciatario sembra una testimonianza esemplare lo scritto, anch'esso autobiografico, Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo. Lo scrittore casertano tratta infatti del bisogno di sentirsi parte organica della società, all'interno di un testo molto meno avvincente di quello di Orwell ma altrettanto lucido, a riprova dell'incapacità accertata degli intellettuali - quanto meno italiani - degli ultimi decenni di agire e di modificare la realtà.
Eppure, in un'epoca di confusione dovuta all'ipertrofia dell'informazione, di incertezza provocata dalla rapidità dei mutamenti, rimane ed anzi diviene ancor più essenziale il ruolo di coscienza critica, che però non fa audience, non vende, se non quando si accompagna ad azioni spettacolari, curiose, visibili. Orwell, in Omaggio alla Catalogna, metteva già efficacemente a fuoco i pericoli del controllo dei mezzi di comunicazione. Oggi lo stesso problema si ripropone ampliato, mentre la controinformazione arranca, limitata, nella sua capacità di essere propositiva, da disegni vaghi e irrealizzabili di impossibili alternative totali non solo al sistema politico, economico e sociale, ma anche alla tecnologia ed ai suoi sviluppi.
Se l'intellettuale fatica ad ascoltare e ancor più a farsi ascoltare, il ruolo di coscienza critica della società dovrà essere necessariamente preso dai detentori del sapere tecnologico. Sperando che si accorgano che il mezzo utilizzato non è il fine. Quello era e rimarrà l'humanitas.